"Signori si nasce ed io modestamente lo nacqui"; "Siamo uomini o caporali.."; "Armiamoci e partite"; "Lei è un paziente che non ha pazienza...e che paziente è"; "La morte è una livella"; "Parli come badi sa..."; "E' una ciofeca.."; "I pazzi vanno sempre assecondati..."; "Più conosco gli uomini e più amo le bestie"; e "pinzillacchere", "fa d'uopo", "quisquiglie"...

Solo alcune delle espressioni e neologismi più celebri di Antonio De Curtis, in arte Totò (per i neologismi fu citato nella Storia linguistica dell'Italia come esempio di efficacia linguistica)....E quante volte li abbiamo pronunciati per parafrasare situazioni o persone. A 50 anni dalla sua morte (15 aprile 1967), Totò lo celebra oggi rione Sanità (dove è nato il 15 febbraio del 1898), tutta Napoli, tutti gli appassionati del mondo artistico ma anche una varietà di pubblico che ama al contempo il personaggio Totò e l'uomo, il poeta, il compositore, il filosofo Antonio De Curtis.

Ed io sono tra questi. Aver visto da bambina per la prima volta un suo film è stato come un coup de foudre - a prima "visione"..... E da allora è diventato amico e compagno di viaggio....Forse avrò visto i suoi film centinaia di volte...e continuo a vederli...

Il fascino per la Commedia di Totò è dettato dal suo mettere in scena l'umanità in tutte le sue sfaccettature. Mette a nudo l'umo, "Ci sono - diceva - uomini, mezzi uomini, ruffiani, pucchiacchiell, e quaquaraquaà".

Totò attraverso l'ironia fa un capolavoro di discesa nel profondo dell'umanità, di presa di coscienza, di "verità"...di umiltà. Totò avrebbe avuto sicuramente un posto d'onore nell'Olimpo degli dei per l'ironia con cui presenta e ridicolizza alcuni personaggi (stereotipi di una vasta rappresentanza) riportandoli nella loro propria condizione di finitudine e di miseria, e smontando così quella superbia e tracotanza tanto ripugnata e punita dagli dei. Tutti gli aspetti dell'umano, sia negativi che positivi, sono interpretati da Totò con una maestria davvero unica.

Una maestria che nasce sicuramente dalla sua unicità e originalità, ma anche dal cuore, dalla sua grande magnanimità e generosità. Vittorio De Sica così lo ricordava: "Ricordare l'uomo Totò mi riempie di commozione: era veramente un gran signore, generoso, anzi, generosissimo. Arrivava al punto di uscire di casa con un bel po' di soldi in tasca per darli a chi ne aveva bisogno, e comunque, a chi glieli chiedeva". Ed io stessa ricordo di un racconto fattomi da ragazza da un'amica napoletana, di quando Totò da Roma andava di notte a Napoli e lasciava sotto lo zerbino delle case più povere un po' di soldi...La sua generosità si estendeva anche agli animali, in particolare ai cani, nel '65 infatti fece costruire a Roma un canile: "L'Ospizio dei Trovatelli".

Una grande umanità la sua carica anche di sofferenza, si pensi, in particolare al suicidio (perché lasciata da Totò) della soubrette Liliana Castagnola... Un fatto questo che segnò la sua vita. Decise infatti che fosse tumulata nella cappella di famiglia e poi diede il nome di Liliana a sua figlia. A lei poi dedicò questa poesia:

"E' morta, se n'è ghiuta 'n paraviso./ Pecchè nun porto 'o llutto? Nun è cosa/ rispongo 'a gente e faccio 'o pizzo a riso/ ma dinto 'o core è tutto n'ata cosa!".

La sua arte è un capolavoro, nei suoi film anche le opere dei classici da lui rivisitate....(ad es. le Commedie di Plutarco, Macchiavelli, Pirandello, Manzoni...). Solo un accenno. Un grande attore dunque, anche nei capolavori tratti dal mondo letterario, penso a "47 morto che parla", "La Mandragola", "La patente", alle numerose parodie, come quella sui Promessi sposi con "Il monaco di Monza"... o anche "Che fine ha fatto Totò Baby?", parodia del fim "Che fine ha fatto Baby Jane"...

Ridicolizzazione e comicità ma anche sguardo commovente sulla tragica umanità come in "Guardie e ladri, "Napoli milionaria", "I soliti ignoti", "L'oro di Napoli", "Uccellacci e uccellini"....

Totò ci fa riflettere attraverso la risata, e lo fa nei suoi capolavori (ne cito solo alcuni) come "Miseria e nobiltà", "Il medico dei pazzi", "Totò a colori" con il mitico Scannagatti, e ancora "Totò, Peppino e le fanatiche..."... "Totò, Fabrizi e i giovani d'oggi", "Totò contro Maciste", "Totò Diabolicus", "Un turco napoletano".... E l'elenco potrebbe continuare...sono infatti quasi un centinaio i film da lui interpretati.... E a rendere Totò immortale sono stati anche i suoi grandi compagni di lavoro, come Peppino De Filippo, Nino Taranto, Aldo Fabrizi, Mario Castellani, etc, oltre ai registi che lo hanno diretto.

La notizia dei giorni scorsi, di aver conferito ad Antonio De Curtis (su proposta di Renzo Arbore) la Laurea honoris causa alla memoria in "Discipline della Musica e dello Spettacolo. Storia e Teoria" da parte dell'Università degli Studi di Napoli ci rende orgogliosi. Era ora!, verrebbe da dire... Perché a questi grandi e numerosi festeggiamenti sembra fare eco una riflessione di Totò: "Il mio funerale sarà bello assai perché ci saranno parole, paroloni, elogi, mi scopriranno un grande attore: perché questo è un bellissimo Paese, in cui però per venire riconosciuti qualcosa, bisogna morire". L'uomo Antonio De Curtis svela il suo animo triste a causa delle incomprensioni da parte della critica che non l'apprezzò in vita....anche se vincitore di due Nastri d'argento per i film "Guardie e ladri" di Steno e Monicelli e "Uccellacci e uccellini" di Pasolini.

Totò è anche un filosofo quando riflette sulla vita e sulla morte. In un'intervista rilasciata ad Oriana Fallaci dice: "...quella mia battuta «siamo uomini o caporali» non è affatto un gioco. Il mondo io lo divido così, in uomini e caporali. E più vado avanti, più scopro che di caporali ce ne son tanti, di uomini ce ne sono pochissimi»... Caporali, vede, son quelli che voglion essere capi. C'è un partito e sono capi. C'è la guerra e sono capi. C'è la pace e sono capi. Sempre gli stessi. Io odio i capi come le dittature, le botte, la malacreanza, la sciatteria nel vestire, la villania nel parlare e mangiare, la mancanza di puntualità, la mancanza di disciplina, l'adulazione, i ringraziamenti....".

Sulla sua situazione di cecità e sulla felicità inoltre commenta sempre alla Fallaci: "Secondo logica, dico: stabilito che le disgrazie sono fatte per gli uomini, perché arrabbiarsi contro le disgrazie? Sarebbe come arrabbiarsi perché piove, o perché c'è il sole, o perché si muore. La morte esiste, la pioggia esiste, la cecità esiste: e ciò che esiste va accettato. Disperarsi a che serve? A vederci meglio? Bisogna adattarsi: prima per esempio scrivevo a mano, ora detto al magnetofono. Prima leggevo molto. Ora mi faccio leggere. E poi proprio cieco non sono: da un occhio, sì, non vedo quasi nulla, ma dall'altro vedo la periferia. Cioè, se mi metto di profilo, io frego l'occhio e la vedo come se stessi di faccia. Posso anche recitare e, infatti, vede: continuo a lavorare, lavoro. Né questo mi rende infelice. Signorina mia, ciascuno ha da portare una croce e la felicità, creda a me, non esiste. L'ho scritto anche in una poesia: «Felicità: vurria sapé che d'è / chesta parola. Vurria sapé che vvo' significà».Forse vi sono momentini minuscolini di felicità, e sono quelli durante i quali si dimenticano le cose brutte. La felicità, signorina mia, è fatta di attimi di dimenticanza".

E poi c'è Antonio De Curtis compositore -la canzone più conosciuta è Malafemmena, e Antonio De Curtis poeta... numerose liriche dedicate all'amore e all'esistenza... Sulla morte, nella poesia 'A livella, si legge: 'A morte 'o ssaje ched''e?...è una livella. /'Nu rre,'nu maggistrato,'nu grand'ommo,/ trasenno stu canciello ha fatt'o punto/ c'ha perzo tutto,'a vita e pure 'o nomme:/ tu nu t'hè fatto ancora chistu cunto?

Chiudo questo mio breve ricordo di affetto e di ammirazione per Totò con la Preghiera del clown (dal film "Il più comico spettacolo del mondo"): "...Se le mie buffonate servono ad alleviare le loro pene, rendi pure questa mia faccia ancora più ridicola, ma aiutami a portarla in giro con disinvoltura. C'è tanta gente che si diverte a far piangere l'umanità, noi dobbiamo soffrire per divertirla. Manda, se puoi, qualcuno su questo mondo, capace di far ridere me come io faccio ridere gli altri".

Maria De Carlo (art. pubblicato sul quotidiano Roma nel 2017)

La nascita segna un nuovo inizio. In sé la nascita è il divenire di ciò che non è ancora stato, è la possibilità che si affaccia, è la speranza che fa capolino nelle nostre vite. La nascita è portatrice di nuovo..... Il Natale, il giorno della nascita per eccellenza, rappresenta per noi tutti la possibilità di un nuovo cominciamento, personale e comunitario. Ogni nascita, poiché novità, ir-rompe e sconvolge piani e ordini costituiti. Pensate cosa può significare a livello sia individuale che sociale tale affermazione. Prende forma un nuovo cominciamento, la possibilità di guardare avanti e costruire e progettare. Così come sul piano sociale significa rivedere, ri-progettare, rinnovare, ri-costruire. E' un processo vitale che coinvolge, non isola. Al contrario ogni visione egologica non è feconda, non si apre alla vita, all'incontro. La staticità, l'impossibilità di venire alla luce, l'assenza del nuovo porta a chiusure, a rassegnazioni, al vuoto, alla desolazione, alla sepoltura, alla morte. Quando invece accade qualcosa di nuovo, di inatteso si aprono nuovi orizzonti, nuove vedute, prende vita la novità, ciò che non è stato, una nuova possibilità, una nuova vita. La nascita è la forza sul nulla... Per questo ir-rompe e "rompe" ogni schema precostituito. Ogni nascita è evento di interdipendenza. Non si nasce da soli.... La nascita rinvia al parto. Tutti siamo stati partoriti, tutti "siamo usciti dal grembo di un altro essere umano ....da una madre", così come spiega Ina Praetorius affermando che "L'essere partoriti ci segna per tutta la vita: siamo dipendenti, abbiamo bisogno dell'altra o dell'altro...". Nessuno di noi ha deciso di nascere. Nessuno di noi è nato da solo. "Tutte e tutti vengono al mondo nella forma della relazione, in un luogo concreto, in un tempo definito..." (Praetorius). Ed ogni nascita è unica così come ogni persona che viene al mondo è unica, originale, irripetibile e irriducibile. Ed è a partire da questo venire al mondo in modo unico che ci apre alla possibilità di un nuovo inizio con senso e scopo. Siamo venuti al mondo e non possiamo non trovare o dare un senso e uno scopo a ciò che siamo, a ciò che ci accade. Il Bambino di Bethlem è venuto al mondo per uno scopo. La sua nascita aveva un senso. E così ognuno che viene al mondo, in un intreccio di relazioni, è chiamato a portare a compimento la propria unicità. E attingendo da quella "culla" possiamo trovare nell'amore senso e significazione del nostro essere-esser-ci. O quantomeno riflettere.

"Quando gli spiriti barbarici riprendono vigore non solo soverchiano e opprimono gli uomini che la civiltà rappresentano, ma si volgono a disfarne le opere che erano a loro strumenti di altre opere, e distruggono monumenti di bellezza, sistemi di pensieri, tutte le testimonianze del nobile passato, chiudendo scuole, disperdendo o bruciando musei e biblioteche e archivi (...). Di ciò di esempi non occorre cercarli nelle storie remote, perché le offrono quelle dei giorni nostri in tanta copia che perfino se n'è in noi attutito l'orrore". Sono le parole amare che Benedetto Croce pronuncia di fronte alle macerie di un'Europa distrutta dalla guerra, riprese da Nuccio Ordine nel suo "Manifesto": L'utilità dell'inutile, per spiegarci un grande paradosso della storia e cioè quando la barbarie prende il sopravvento "l'accanimento del fanatismo si rivolge non solo contro gli esseri umani ma anche contro le biblioteche e le opere d'arte, contro i monumenti e i grandi capolavori".

Una furia che si abbatte, a detta dello studioso, su quelle cose ritenute inutili ma che evidentemente sono percepite come un pericolo. Questo perché ciò che realmente eleva lo spirito e la crescita civile e culturale dell'umanità sono quei saperi cosiddetti inutili cioè che non hanno una finalità utilitaristica, un guadagno, ma che hanno una natura gratuita e disinteressata. Pensiamo alla poesia, all'arte, al teatro, alla filosofia, all'opera, etc. etc.... Ahimé cosa sta accadendo invece? L'interesse economico, spiega Ordine, "sta uccidendo la memoria del passato, le discipline umanistiche, le lingue classiche, l'istruzione, la libera ricerca, la fantasia, l'arte, il pensiero critico e l'orizzonte civile che dovrebbe ispirare ogni attività umana", quel sapere insomma che non si può comprare cioè quel percorso faticoso e personale che permette un'autentica "metamorfosi dello spirito".

E se l'uomo ha raggiunto livelli di alta democrazia, di libertà di pensiero, di espressione, di criticità lo deve proprio a tutta questa attività che lo ha innalzato nei secoli a grande umanità. A ragione Holderlin afferma che "solo il poeta fonda ciò che resta".
Un Manifesto questo di Ordine che in questo particolare momento storico diventa davvero un vademecum per rilanciare e potenziare al massimo quell'inutile che fonda la bellezza della libertà dell'uomo e diventa quindi la vera ancora di salvezza per la nostra Europa e per l'intera umanità, a ragione Ordine ci allerta: "quando la desertificazione dello spirito ci avrà ormai inariditi, sarà veramente difficile immaginare che l'insipiente homo sapiens potrà avere ancora un ruolo nel rendere più umana l'umanità...".

Ultima modifica ilMartedì, 20 Gennaio 2015 13:01

Giornata della Memoria: 27 Gennaio 1945, giorno della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz. Le vittime della Shoah sono state tante....e "Chi vi morì, non fu assassinato per la fede che professava e neppure a causa di essa o di una qualche convinzione personale. Coloro che vi morirono, furono innanzitutto privati della loro umanità in uno stato di estrema umiliazione e indigenza; nessun barlume di dignità umana fu lasciato a chi era destinato alla soluzione finale - nulla di tutto ciò era riconoscibile negli scheletrici fantasmi sopravvissuti nei Lager liberati". E' quanto afferma Hans Jonas ma è quanto leggiamo anche in Primo Levi in "Se questo è un uomo....". E' una pagina della storia dell'umanità buia più della notte perché l'umanità si è oscurata, è venuta meno.....non ci sono parole per descrivere l'orrore, la distruzione, la Shoah. E le parole non ci sono.... Quando i prigionieri chiedevano ai loro aguzzini il perché di tutto quel male - Warum?- questi rispondevano con un: non c'è un perché! - Hier ist kein Warum -. 
Un processo di disumanizzazione che parte dal primato dell'avere sull'essere, del primato della "cosa" (interesse economico e/o di potere) sulla dignità e sacralità dell'uomo. Quando questi pensieri diventano pensieri "comuni" come se fossero "normali" si può arrivare anche alla distruzione della vita in modo "disumano"....senza pietà, senza cuore, senza ragione, senza cioè tutto ciò che rende l'uomo tale per la sua essenza di "umanità".... Si diventa, al contrario, disumani ... in una logica di "banalità del male", cioè un male fatto non per un'indole maligna dei carnefici "ma per una completa inconsapevolezza di cosa significassero le proprie azioni", così come Hanna Arendt ci spiega sottolineando come l'uomo che non ha idee e che è asservito a un sistema o diventa inconsapevolmente il braccio di un altro, obbedisce a un ordine....può arrivare a commettere tanto male...
Sarà per questo che le menti meno ricche di fantasia, di immaginazione, di idee fanno comodo e sono utili agli uomini di potere?! E sarà per questo che i libri vengono bruciati o censurati....
Ma di fronte a questa catastrofe risuona la domanda più volte ascoltata: dov'era Dio ad Auschwitz? "Eccolo: è appeso lì, a quella forca...", è il bambino "l'angelo dagli occhi tristi" che Elie Wiesel narra ne "La notte", è quell'innocenza del bambino che rivela "l'immagine umana della bontà incondizionata di Dio ma anche della sua altrettanto radicale impotenza. Né il bambino né Dio conoscono il male, privilegio e dannazione della libertà umana". 
Ma la libertà non può essere disgiunta dalla responsabilità. Quale percorso dovremmo intraprendere affinché non accada mai più l'inenarrabile? Dobbiamo crescere in responsabilità, perché solo se l'uomo saprà "fare se stesso a immagine e somiglianza della bontà infinita di Dio (e non della sua presunta onnipotenza) - commenta Jonas - l'umanità potrà salvarsi dalla soluzione finale del problema umano".


25 novembre GIORNATA INTERNAZIONALE PER L'ELIMINAZIONE DELLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE

Ci sono tre domande fondamentali che ci interpellano, così come ci ricorda Martin Buber: "Sappi da dove vieni, dove vai e davanti a chi dovrai un giorno rendere conto". L'uomo del Novecento invece ha preferito riempire il "vuoto" delle risposte con la violenza e il dominio pur avendo conosciuto le sue potenzialità più alte, come le conquiste...

"Se noi uomini fossimo più intelligenti di quanto siamo, ci saremmo preoccupati sempre che le donne fossero più felici di quanto sono, poiché questa è la condizione primaria della felicità nel mondo. Nella misura in cui le donne non sono felici, non esiste felicità; e, naturalmente, non la può ottenere l'uomo". Una dichiarazione, oserei dire...

Quest'anno nella calza della Befana ho trovato un regalo e una sorpresa che scarto con immenso piacere. Si tratta di una recente pubblicazione del letterato Franco Trifuoggi dal titolo: "Vitalismo e solarità nella poesia di Albino Pierro". Un saggio che l'autore, nonché amico del vate oltre che studioso (nel 2011 Trifuoggi riceve dal Comune di Tursi la cittadinanza onoraria in riconoscimento dei suoi studi su Pierro) ha voluto regalarmi, e regalarci, nel centenario della nascita di Pierro (19 nov 1916). Il poeta tursitano è noto per essere stato candidato più volte al Nobel e la sua lirica è conosciuta in tutto il mondo, si pensi che le sue opere vengono tradotte in quaranta lingue -francese, inglese, spagnolo, portoghese, neogreco, svedese, rumeno, persiano, arabo, russo, cinese..., solo per citarne alcune.

Trifuoggi con questo saggio ha voluto rendere omaggio ad Albino Pierro, alla sua lirica che "canta non solo i luoghi e i riti del suo paese, i cari scomparsi, il tormento esistenziale -così come riportato nelle prime pagine- ma anche un indomito amore della vita, la speranza, lo splendore del sole e delle stelle, un sogno di fraternità universale, la fede religiosa e in particolare la devozione alla Madonna, l'amicizia, l'amore illuminato da bagliori stilnovistici, la tenerezza verso la donna, l'infanzia, gli umili, il palpito umano degli animali". Ed è per questo che lo studioso di Marigliano ha sentito la responsabilità di voler rendere giustizia al poeta offrendoci una brillante lettura e commento della sua poetica... in tutta la sua interezza. Infatti da subito, nella premessa, Trifuoggi sottolinea l'esigenza della scelta del tema: "di non contestare la formula demartiniana "poeta delle funebri memorie" (...) bensì di dissipare la diffusa tentazione di assumerla come definizione caratterizzante della sua poesia o addirittura assolutizzante".

Ad aprire le 36 pagine rivestite di giallo -una copertina dalla patina vellutata che racchiude nei colori il senso del titolo-, un'immagine di Albino Pierro solare, col suo immancabile sigaro, corredata da una breve biografia. Trifuoggi ci accompagna, passo passo, nella poetica pierriana. Il lettore sembra ricevere in dono dalle parole splendidi scenari fatti ora di luoghi, di suoni, di immagini, di sensazioni ed emozioni che Pierro evoca nelle sue liriche. Si resta stupiti ed estasiati e si cerca di catturare, o quantomeno di partecipare attraverso i versi che abilmente Franco Trifuoggi propone, all'anelito profondo di una vita piena e vitale e al suo mistero.... Aspetti che l'autore certosinamente riporta di volta in volta attraverso un'analisi attenta. Per fare un esempio, nella silloge "Mia madre passava" (silloge in lingua del 1955), si sottolinea la presenza dei seguenti vettori lirici: "un indomito vitalismo, le visioni paesaggistiche con lo splendore del sole e i notturni lunari, l'amicizia, il palpito umano delle bestie, la fede religiosa, il sorriso della figlia"... Come pure riporto un esempio di lirica in dialetto: "E ll'occhie ti scintìllete" dove si descrive l'esaltazione "dello sfolgorio del sole come del sorriso, metafore della vita che si afferma come luce e bene contro ogni tenebra di male e di dolore"...e così via. Non c'è, insomma, nelle liriche di Pierro "un pessimismo disperato", come sottolinea a più riprese Trifuoggi nel riportare i versi ispirati del vate sia nelle sillogi in lingua che in dialetto. E queste ultime poi, in particolare, offrono, come spiega l'autore, "una più ricca e probante possibilità di esemplificazione".

Il saggio di Trifuoggi, attraverso la pluralità di esempi di "indomito slancio vitale e di fascinosa ebbrezza di luce" (rubo l'espressione all'autore), va ad arricchire un suo "corredo" operistico di grande spessore sul poeta tursitano: "Candore e devozione in Albino Pierro"; "Lettura della lirica tursitana di Albino Pierro" (opera finalista del Premio "Città di Gioi"; "Motivi mariani in tre poeti lucani: Rachele Padula Zaza, Rocco Campese e Albino Pierro"; "Poesia e fede in Albino Pierro".

Il bene e il male: un'eterno conflitto che alberga nell'animo umano. L'artista Andrea Giorgi coglie l'uomo nella sua nudità, nella sua essenza... in una continua lotta. E' quanto emerge dalla contemplazione dei suoi lavori. L'occhio dell'artista, attraverso le sue opere, ci induce a riflettere sulle domanda di senso che ognuno si pone: Chi sono? Perché questa vita? Perché accade ciò che non vogliamo? Perché la realizzazione del bene è offuscata dalla presenza del male? Come essere felici? Cos'è che ci tormenta? Forse il male è dato dallo smarrimento dell'uomo nell'esteriorità...di qui l'anelito e l'urgenza a prendere coscienza di questo malessere per fare così ritorno a se stessi...per riappropriarsi di senso e significato...di bene e di felicità.

Andrea Giorgi nasce ad Ancona il 9 agosto 1974 (www.andreagiorgi.info). Interessato all'architettura, al design ed alla grafica digitale. "Lo strumento tecnologico è foglio da schizzo e penna - scrive di lui Laura Coppa-, tavolozza di sintetici colori, il pennello e la tela con cui Andrea Giorgi concretizza la sua altra realtà: l'alterrealtà (...) Nell'epoca del microchip, nel secolo della velocità, lo strumento tecnologico diventa protesi extraorganica indispensabile. Nessuno stupore è più provocato dall'iper-realismo, nessuno sconvolgimento è generato dalla scoperta che, anche l'arte, faccia uso dell'elettronica ".

Aldilà di ogni tecnica Andrea Giorgi ci spinge a riflettere su noi stessi, a rientrare nella nostra intimità più profonda, a toccare quasi con mano il nostro animo.

Nel testo critico di Simona Clementoni si legge: "Nella dimensione infinita della mente, contrassegnata da opposizioni binarie che esplicitano la divisione manichea di bene e male insita nella natura umana e nell'universo, individui dai corpi scultorei, esteticamente perfetti, rappresentano il dramma delle passioni: la malinconia, la tristezza, il dolore, la morte e l'eterno tormento, l'Amore in tutte le sue sfaccettature: l'amore gioioso, l'amore conflittuale, l'amore dannato, l'amore perduto. Privi di tratti fisiognomici e di capelli, nudi ed impassibili nell'assenza totale di espressioni facciali, universalizzati nella loro completa spoliazione di tratti identificativi, questi esseri enigmatici comunicano solo con le pose e gli atteggiamenti del corpo, riuscendo a veicolare la forza del loro universo interiore tanto più efficacemente quanto più sono svincolati dal fallace mondo delle apparenze. Nel racconto artistico di Andrea Giorgi, donne e uomini soli e fragili si contrappongono ad altri forti e dominanti; esseri angelici si scontrano con creature demoniache in un duello che non coinvolge solo il micro, ma anche il macrocosmo".

Il giovane artista espone dal 2008 in Italia ed all'estero. Questo mese di Agosto (dal 3 al 24) è sbarcato per la prima volta a Zara presso la sede della comunità italiana dove sono in Mostra 18 grafiche digitali dal titolo "Eternity".

Apprezzate e stimate le sue opere fanno parte di importanti collezioni d'arte private, ricordiamo tra tutte la Ferrero, che ha acquistato la sua opera "my little strange world" vincitrice del concorso internazionale "Kinder cerca arte".

La festa del 1 Maggio ci ricorda le battaglie degli operai per il diritto alle otto ore di lavoro. Scioperi e manifestazioni che costarono la vita a non pochi.

Oggi la festa del lavoro si colora della stessa disperazione ma ahimé per le ore che non ci sono (!), per una precarietà snervante, per enormi disuguaglianze e ingiustizie, per il lavoro in nero, per una meritocrazia che non c'è, etc. etc.

E dove non c'è lavoro c'è miseria, aumento della delinquenza. Si sperimenta una vita volta ai bisogni primari essenziali senza spazio all'immaginazione artistica, all'elevazione dello spirito...., a quell'utilità dell'inutile -come direbbe Nuccio Ordine, che fa poi crescere la storia in cultura e in umanità autentica.

L'assenza di lavoro con la conseguenza di dislivelli economico-sociali oltre a generare un malessere sociale (espresso in tante forme), creando incertezza, spegnendo il sogno del futuro e della progettazione -soprattutto per i più giovani, genera disagi di diversa natura, si pensi alle varie dipendenze con conseguenze drammatiche su più piani.

Il lavoro è il luogo della piena realizzazione dell'uomo. Il soggetto diventa continuatore di una creazione sempre in progress, sperimenta la sua potenzialità, si mette in gioco come persona che vive in pienezza il mutamento della società. Dove c'è lavoro c'è dunque democrazia, partecipazione piena di ciò che si è e di ciò che si diventa insieme agli altri. La democrazia genera ordine autentico, spazi di benessere per tutti, e giustizia!

Cosa sta accadendo? Restrizioni e tagli. Una distribuzione oligarchica della ricchezza e dunque del potere. Dove l'uomo è esasperato dal bisogno (e quindi dalla mancanza di autonomia economica) non può esserci libertà..... è ricattabile, è sottomesso, è tenuto in pugno.....

Quali risposte? Quali percorsi da intraprendere? Come promuovere una cultura della democrazia autentica? Quali progettazioni e impianti economici strutturali andrebbero messi a punto? Quali risorse attivare?

Mi sento di suggerire per ora solo un'opzione vitale: la speranza.....poiché da essa scaturiscono creatività, inventiva e desiderio di "nuovo".

L'Epifania ci fa riflettere sul valore del dono. Sul riconoscimento-manifestazione di ciò che si è per l'altro e di come questo riconoscimento venga sugellato attraverso il dono!
L'Epifania è una festa solenne per la cristianità, ricorda la visita dei re Magi a Gesù Bambino. Si inginocchiarono "e lo adorarono" poiché riconobbero la presenza del divino. Epifania infatti significa (dal greco) "manifestazione", appunto del divino. Solo Dio si adora ed è per questo che i re Magi lo adorarono e gli offrirono dei doni.
Nella tradizione è la festa della Befana, di una buona vecchina che su una scopa vola sui tetti e magicamente riempie le calze, ben messe in vista dai bambini (e non solo), di dolciumi e doni.....e il carbone per chi è stato monello! Ma la cara Befana è buona....e sa riconoscere in ognuno quel tanto di bene da fargli meritare almeno un dono!
E ricevere un dono significa innanzitutto essere riconosciuti, amati, rispettati, voluti bene. E' importante per ognuno di noi essere "riconosciuti", è fonte di autostima, è fonte di serenità e armonia, è fonte di benessere... Il dono diventa dunque espressione di riconoscimento dell'altro: "tu ci sei ..... ti voglio bene". E in questo circuito il dono diventa espressione di affetto autentico, di premio-dono verso il bambino che ha bisogno di dolcezze (la calza piena di leccornie) e di affetto. E ciò vale non solo per i piccoli. Anche l'adulto ha bisogno di sentirsi "riconosciuto" dalle persone che lo circondano, ha bisogno di sentirsi amato, accolto, desiderato..... e il dono esprime tutto questo sentire! E' proprio dell'uomo infatti, dalla nascita fino all'ultimo respiro, il bisogno del riconoscimento-incontro-dono nella relazione con l'altro.
Perciò quando si riceve un regalo si è contenti dentro proprio per il gesto del dono....al di là dell'oggetto.... Siamo contenti perché il dono che riceviamo è la conferma di essere stati pensati-riconosciuti dall'altro... Si manifesta così quella relazione che è ossigeno vitale per la nostra esistenza!
Ma c'è un dono che supera qualsiasi "cosa" ed è il dono della "presenza", dell'esser-ci per l'altro. Siamo dono per qualcuno..... come il bambino per la mamma e viceversa... come l'amato per l'amata e così via.... Diventiamo dono quando siamo "presenza" (che è salvifica)nella vita dell'altro.... Così come quel bambino-Dio che si è manifestato.....
La presenza dell'altro dunque diventa manifestazione-dono ..... quella che riceviamo ma anche quella presenza che doniamo.... Buona Epifania a tutti!

L'estate è attesa da ciascuno come tempo di quiete, di riposo (almeno di piccoli spazi rinfrescanti), ed è tempo anche di fare esperienze dedicate alla propria cura -del corpo e dell'anima. E' tempo di vacanza, che dal latino significa appunto "mancanza" e essere libero senza occupazioni. Ed è proprio quando si è in sosta che si riesce anche a riflettere con maggiore attenzione e profondità sulla propria esistenza. La lettura accompagna questo periodo. Ho sottomano un saggio dedicato a Martin Buber (Appunti per la ricerca di una direzione -ed Grafie).

Partiamo dalle domande: "Dove mi trovo?", Cosa ho fatto? Quali le mie aspirazioni? Cosa penso di me? Come vengono vissute le mie relazioni con gli altri? So prestare l'orecchio a ciò che mi risuona nel profondo? Interrogarsi, mettere in discussione le proprie certezze è solo l'inizio di quel processo che va sotto il nome di "ricerca". C'è una sana inquietudine che accompagna la nostra ricerca. E questo è un bene. Ma altrettanto salutare è trovare di volta in volta, di ricerca in ricerca un senso a ciò che facciamo, un senso che si rinnova, così come la nostra esistenza è in continuo cambiamento ed evoluzione. Il senso poi trova maggiore significazione se abbiamo chiara in noi la "Direzione". Sapere dove andare equivale a dare senso a ogni nostro gesto, a ogni nostro incontro, a ogni nostra scelta. Quando ciò viene a mancare ecco allora prendere piede in noi quel senso di malessere o male che trova nella sua piena realizzazione il buio e la notte, la perdita di direzione -il non vedere. E' male tutto ciò che non ci fa stare bene. Non sapere (o non vedere) dove andare e brancolare nella notte procura malessere: male-essere, che ben si traduce con "stare nel male" o "stare male", ma anche "essere-male" ovvero ciò che è "male per me".

Siamo chiamati a fare delle scelte, la vita ci pone di fronte, a partire dalla quotidianità, situazioni che ci interpellano e richiedono una scelta. L'esperienza del filosofo danese, Kierkegaard può essere un incentivo a guardare dentro di noi. Egli scrive: "Ciò che in fondo mi manca, è di veder chiaro in me stesso, di sapere "ciò che io devo fare" (...) e non ciò che devo conoscere, se non nella misura in cui la conoscenza ha da precedere sempre l'azione. Si tratta di comprendere il mio destino, di vedere ciò che in fondo Dio vuole che io faccia, di trovare una verità che sia una verità per me, di trovare l'idea per la quale io voglio vivere e morire". Dunque anche per noi: "ciò che conta è di trovare una verità che sia verità per me, di trovare l'idea per cui io voglia vivere e morire". La verità è tale se tiene conto dell'esistenza concreta del soggetto, ciò che spinge a compiere determinate azioni o decisioni.

Ma cos'è il male che ci accompagna fin dalla nascita e di cui non riusciamo a liberarci? Perché esso è il compagno fastidioso che ci rende infelici anche se allo stesso tempo può trasformarsi in opportunità di riscatto? Il male può diventare una risorsa quando trovandoci in un baratro tanto profondo da sfiorare il limite della non-possibilità, del non-ritorno, esso diventa, nella notte oscura (perdita del proprio senso esistenziale), l'occasione (che siamo liberi di cogliere o meno) dello sprigionarsi di quella forza vitale che spinge l'uomo alla piena consapevolezza di sé per la conquista della felicità autentica.

Da dove cominciare? Buber ci indica una via: "La battaglia deve cominciare dalla nostra anima; tutto il resto si svilupperà da lì". Prendersi cura dunque della propria anima significa ricercare quel benessere e quella felicità a cui ogni uomo aspira.

Buona estate e buona vacanza!

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